
C'è da sperare che qualcuno riesca a far dimettere il senatore Nicola Latorre almeno dall'incarico di vice-capogruppo dei democratici al Senato. Pensare infatti che i probiviri del Pd espellano, o quantomeno sospendano, il braccio destro di Massimo D'Alema dal partito, così come farebbe qualsiasi partito in qualsiasi democrazia occidentale, è velleitario. Ormai è chiaro che di occidentale il nostro paese conserva solo la collocazione sulla carta geografica: tutto il resto, dalle classi dirigenti fino a buona parte dei media, è levantino. O, se preferite, latino americano.
Ma persino in Sud America un parlamentare di opposizione smascherato in tv mentre consiglia per iscritto a un esponente della maggioranza le frasi e i ragionamenti da utilizzare per tentare di levarsi dall'impaccio in cui lo ha cacciato un avversario politico, verrebbe immediatamente fatto scomparire dalla scena. Ovviamente non per senso etico o morale, ma per convenienza. Con quale residua credibilità Latorre potrà nel futuro opporsi, o fingere di opporsi, a prese di posizione, leggi e interventi avanzate dalla maggioranza? D'ora in poi la sua faccia rotonda, il suo cranio pelato, saranno solo e semplicemente il simbolo del'inciucio. Saranno un inno al qualunquismo di chi dice «intanto sono tutti uguali». Saranno la pietra tombale sulle già scarse possibilità del centro-sinistra di tornare un giorno alla guida del paese.
Eppure tra gli oligarchi nostrani Latorre resta popolarissimo. Ieri i suoi amici, per fronteggiare l'ondata di sconcerto montante anche dall'interno del Pd, hanno straparlato rievocando i processi staliniani. Il pugliese Francesco Boccia, dimostrando di non aver ricevuto nessun beneficio dagli anni trascorsi in gioventù studiando a Londra, è arrivato a dire: «Siamo passati da Obama a Stalin». L'ex prodiano Paolo De Castro ha definito «grottesche le critiche» per il pizzino allungato da Latorre. E tutti hanno catalogato l'episodio tra le scaramucce in atto tra i dalemiani e i veltroniani per il controllo del partito democratico.
Ora, è evidente che tra i due gruppi sia in corso una guerra. Ed è altrettanto ovvio che Veltroni e i suoi, mentre premono per le dimissioni di Latorre, sotto sotto si fregano le mani pensando di aver segnato un punto in loro favore. Ma tutto questo non basta per evitare di discutere del nocciolo della questione: Latorre con il suo comportamento ha danneggiato gravemente il partito, se non se ne va lo danneggerà ancor di più. Per il Pd, insomma, è arrivato all'improvviso l'ultimo treno. Sarebbe il caso che da quelle parti ci si desse da fare per non perderlo.
Peter Gomez
20 novembre 2008, dal blog "Voglio Scendere"
2 commenti:
La flebo è GENIALE
Democratico ed unito
il Pd, nuovo partito,
sembra proprio non lo sia
nonostante che un messia
abbian scelto per guidarlo.
Tutti quanti rode un tarlo:
“Dove cacchio stanno andando?”
Il Pd corre allo sbando,
da una parte i veltroniani,
da quell’altra i dalemiani
ed in mezzo i margheriti
che, secondo i vecchi riti,
son fra loro ben divisi:
rutelliani, di Parisi
ed i vecchi popolari.
I litigi non son rari
fra i processi ed i sospetti,
i veleni ed i dispetti,
i pizzini ed i pugnali.
Sono i temi sempre eguali.
“Soli o con degli alleati?”
Con Di Pietro e gli incazzati?
Con Casini e l’Udc?
O con gli uni il lunedì
ed il sabato con gli altri,
visto che siam molto scaltri?
“Che facciam con Berlusconi?”
Lo pigliamo a sganassoni
o collaboriam con lui,
visti i tempi molto bui?
Facciam la bicamerale
o gli diam del criminale?
Lasciam che questo cumenda
per il cul ancor ci prenda
o diciam: “No, Cavaliere,
non ci prenda pel sedere?”
“Dentro o fuori il Pse?”
E’ dal tempo di Noé
che ne stanno discutendo…
“E la Red che sta facendo?”
In Sicilia, Umbria e Lazio
della leadership fa strazio:
è un partito nel partito…
Ed al Nord ecco il ruggito
di quel Sergio Chiamparino
che fa il sindaco a Torino,
che vuol senza esitazione
il Pd del Settentrione
con un suo coordinatore.
In Sardegna, in queste ore,
si è dimesso il presidente,
messo giù dalla sua gente…
“Qui ci vuole un chiarimento…”
Dove? Nel coordinamento,
al congresso, in direzione,
del programma alla riunione
od, ancor, nelle assemblee?
“Prima o dopo le europee?”
“Non è giusto farlo adesso,
sembrerebbe, ahimé, un processo
all’amato segretario…”
“Fare in fretta è necessario…”
Poi qualcuno scopre che
a Madrid il Pse
ha riunito i capoccioni.
Per le prossime elezioni
in Europa c’è il programma
da approvare…Scoppia il dramma.
Tutti in coro i margheriti
sono proprio imbufaliti:
“Noi che siamo democristi
mai starem coi socialisti!”
Walterloo sa cosa fare:
“Io ci andrò, senza firmare.”
Ma Fassino dice: “No,
io ci vado e firmerò
poiché onoro le promesse!”
Firmerà come Ds,
anche se non ci son più
e la Quercia è andata giù.
Firmerà il programma, ahimé,
un partito che non c’è,
che non corre alle elezioni…
“E il partito di Veltroni?”
“Nel mar burrascoso rema.”
“E il partito di D’Alema?”
“Si prepara all’arrembaggio.”
“E’ il Pd…fatti coraggio!”
Carlo Cornaglia
26 novembre 2008
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