venerdì 27 novembre 2009

Ciampi a Repubblica

«VIVIAMO un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell' azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». La prima cosa che colpisce, nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi, è l' amarezza. Un' amarezza profonda, sul destino dell' Italia e sulle condizioni della nostra democrazia. E MAI come in questa occasione l' ex capo dello Stato, da vero «padre nobile» della Repubblica, lancia il suo atto d' accusa contro chi è responsabile di questo «imbarbarimento» e di questa «aggressione»: Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a «colpi di piccone» i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè «la nostra Bibbia civile». «Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile». Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L' intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un' opera di progressiva «destrutturazione». «Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell' edificio democratico, cioè le istituzioni,e si umilianoi valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...». Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo «paesaggio in decomposizione». «Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d' anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l' uomo che difende le istituzioni, e dall' altra parte Berlusconi, l' uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...». L' ultimo capitolo di questa nefasta «riscrittura» della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfanoe ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell' intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: «Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L' ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare». Fa di più, l' ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: «Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi:è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all' opinione pubblica». Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: «Credo che per chi haa cuore le istituzioni, oggi, l' unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti». Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell' ordinamento giudiziario di Castelli: «È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C' è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell' informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse,e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza». Ma in tanto buio, secondo Ciampi c' è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l' appello lanciato su "Repubblica" da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull' abbreviazione dei processi, la «norma del privilegio». «Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all' ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c' è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c' è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare».

m.giannini@repubblica.it PRESIDENTE EMERITO Carlo Azeglio Ciampi è stato presidente della Repubblica dal 1999 al 2006 Oggi è senatore a vita - MASSIMO GIANNINI

Ciampi a Repubblica

«VIVIAMO un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell' azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». La prima cosa che colpisce, nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi, è l' amarezza. Un' amarezza profonda, sul destino dell' Italia e sulle condizioni della nostra democrazia. E MAI come in questa occasione l' ex capo dello Stato, da vero «padre nobile» della Repubblica, lancia il suo atto d' accusa contro chi è responsabile di questo «imbarbarimento» e di questa «aggressione»: Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a «colpi di piccone» i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè «la nostra Bibbia civile». «Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile». Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L' intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un' opera di progressiva «destrutturazione». «Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell' edificio democratico, cioè le istituzioni,e si umilianoi valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...». Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo «paesaggio in decomposizione». «Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d' anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l' uomo che difende le istituzioni, e dall' altra parte Berlusconi, l' uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...». L' ultimo capitolo di questa nefasta «riscrittura» della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfanoe ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell' intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: «Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L' ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare». Fa di più, l' ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: «Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi:è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all' opinione pubblica». Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: «Credo che per chi haa cuore le istituzioni, oggi, l' unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti». Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell' ordinamento giudiziario di Castelli: «È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C' è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell' informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse,e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza». Ma in tanto buio, secondo Ciampi c' è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l' appello lanciato su "Repubblica" da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull' abbreviazione dei processi, la «norma del privilegio». «Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all' ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c' è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c' è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare». m.giannini@repubblica.it PRESIDENTE EMERITO Carlo Azeglio Ciampi è stato presidente della Repubblica dal 1999 al 2006 Oggi è senatore a vita - MASSIMO GIANNINI

mercoledì 11 novembre 2009

Le motivazioni della sentenza

La corruzione è "susseguente" e non "antecedente"alle testimonianze
ritenute false e reticenti, che rese nell'intento di favorire Berlusconi

Mills, le motivazioni della condanna in appello
"Corruzione dopo la testimonianza pro-premier"

MILANO - David Mills è stato condannato dai giudici della seconda sezione penale della Corte d'Appello di Milano per corruzione in atti giudiziari "susseguente" e non "antecedente" alle testimonianze, ritenute false e reticenti, che rese nell'intento di favorire Silvio Berlusconi. Lo spiegano le motivazioni della sentenza depositata oggi dal relatore Rosario Spina. Nelle quali si parla di una confessione "genuina e sincera" (antecedente alle successive ritrattazioni) del legale inglese.

"L'accordo concluso a fine 1999". Secondo i consiglieri della Corte d'appello di Milano l'accordo illecito tra Mills e un emissario di Berlusconi si è concluso alla fine del 1999: dunque, non prima (come era stato ritenuto con la condanna di primo grado), ma dopo le testimonianze rese da Mills nei processi All Iberian e Arces.

Gli elementi certi. Gli elementi certi sono "un compenso di 600mila dollari e la promessa di tale compenso nell'autunno 1999. Elementi che - si legge nella sentenza - si collocano temporalmente in epoca successiva rispetto alle deposizioni testimoniali di Mills, e da essi non si può pertanto prescindere per valutare la qualificazione del tipo di corruzione".

La "promessa di Carlo Bernasconi". Nella sentenza si parla di una "promessa di Carlo Bernasconi (amico di Mills e figura manageriale del gruppo Fininvest, ndr) che sicuramente è avvenuta nell'autunno 1999 e di un compenso che è disponibile successivamente a tale data". Il momento in cui si consuma il reato è il 29 febbraio 2000, "data in cui Mills si fa intestare le quote del Torrey Global Fund".

Le date. Il 29 febbraio del 2000 è quindi la data in cui la promessa fatta a Mills nel 1999 si realizza. "A ben vedere la data può non essere un caso - scrive il giudice Spina - la data del 29 febbraio 2000 è immediatamente successiva al momento in cui si è celebrata la fase di appello del processo, in cui Mills è stato assunto come teste, e proprio successivamente a tale celebrazione, quando la Corte ha deciso di non rinnovare il dibattimento, si ha la certezza che lo stesso non dovrà essere piùsentito come teste, e quindi la vicenda si può considerare conclusa".

La testimonianza poi ritrattata. "Non credo che
occorrano molte parole - disse Mills nel 2004 ai magistrati - io sono stato sentito più volte in indagini e processi che riguardavano Silvio Berlusconi e il Gruppo Fininvest e pur non avendo mai detto il falso, ho tentato di proteggerlo nella massima misura possibile e di mantenere laddove possibile una certa riservatezza sulle operazioni che ho compiuto per lui. In questo quadro che nell'autunno del 1999, Carlo Bernasconi mi disse che Berlusconi a titolo di riconoscenza per il modo in cui io ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro".

Ritrattazione non credibile. Per i giudici d'Appello la ritrattazione fatta dall'avvocato inglese (in cui dichiarava che "per ragioni che io ancora oggi faccio fatica a comprendere, ho detto che i soldi non erano di Fininvest ma dell'armatore napoletano Attanasio") non è dunque credibile. I consiglieri d'Appello non hanno accolto neanche la tesi della difesa secondo cui Mills non potrebbe essere condannato, perché la sua testimonianza non avrebbe prodotto alcun vantaggio a Berlusconi. "E' necessario - conclude la sentenza - che la condotta sia stata semplicemente finalizzata a produrre un vantaggio indipendentemente dal fatto che questo si sia prodotto. Il fatto che Berlusconi non sia stato assolto non ha rilievo. Mills stesso ha ammesso apertis verbis di avere comunque evitato a Berlusconi un mare di guai con la sua deposizione".

Fonte: Repubblica.it