domenica 19 settembre 2010

LEGA LADRONA!! MAZZETTA VERDE LA TRIONFERA'!!

Smettiamola di farci prendere in giro da un partito che si spaccia come il partito del popolo, vicino alla gente, contro la corruzione e il malcostume della prima repubblica! La lega ne ha ereditato i vizi più odiosi: mazzette e doppie cariche!! E per giunta il Paese va a rotoli, sotto la loro "guida illuminata": scuola-università-ricerca, lavoro, ambiente, politiche sull'immigrazione, federalismo, relazioni internazionali, non c'è un tema su cui un Governo imperniato sulla Lega e sulla soluzione dei guai giudiziari del Premier (queste sono infatti le due linee d'azione del Governo) abbia non solo convinto, ma fatto pensare di lavorare davvero per noi. Leggete questa piccola raccolta di articoli dal Fatto.


1 - MAZZETTA VERDE LA TRIONFERÀ

Gianni Barbacetto per "Il Fatto Quotidiano"

Lega ladrona? I casi di malcostume e corruzione all'ombra del Carroccio si moltiplicano, tanto che un dirigente sempre abile ad annusare l'aria che tira, come il governatore del Veneto Luca Zaia, ha ammesso l'esistenza di una questione morale dentro la Lega. "Non possiamo permetterci di essere criticati per i nostri comportamenti amministrativi ", ha dichiarato Zaia, "noi della Lega abbiamo il dovere d'essere doppiamente puliti rispetto agli altri, perché da noi i cittadini si aspettano il massimo del rigore".

Invece proprio dal Veneto arrivano gli ultimi casi di pulizia non proprio perfetta. Il senatore della Lega Alberto Filippi, di Vicenza, è accusato dal faccendiere Andrea Ghiotto di avere un ruolo nella maxi evasione scoperta ad Arzignano, feudo padano e distretto della concia. Una brutta storia di tasse non pagate e di controlli aggirati: le indagini, in corso, diranno se anche a suon di mazzette.

A Verona, Gianluigi Soardi, presidente dell'azienda del trasporto pubblico cittadino Atv (ma anche sindaco leghista di Sommacampagna), si è dimesso dopo che la polizia giudiziaria è piombata nei suoi uffici e ha sequestrato documenti contabili da cui risulterebbero spese gonfiate e ingiustificate.

Camillo Gambin, storico esponente del Carroccio ad Albaredo d'Adige (Verona), è agli arresti domiciliari per una brutta storia di falsi permessi di soggiorno rilasciati in cambio di denaro. Alessandro Costa, assessore alla sicurezza di Barbarano Vicentino, è indagato per sfruttamento della prostituzione: gestiva siti di annunci a luci rosse. Nel vicino Friuli-Venezia Giulia, il presidente del consiglio regionale, Edouard Ballaman, si è dimesso dopo essere finito nel mirino della Corte dei conti per una settantina di viaggi in auto blu fatti più per piacere che per dovere. In passato, Ballaman aveva realizzato uno scambio di favori incrociati con l'allora sottosegretario all'Interno (e tesoriere della Lega) Maurizio Balocchi: l'uno aveva assunto la compagna dell'altro, per aggirare la legge che vieta di assumere parenti nel medesimo ufficio. Aveva anche ottenuto l'assegnazione pilotata della concessione di una sala Bingo. In principio fu Alessandro Patelli, "il pirla", come fu definito da Umberto Bossi: l'ex tesoriere della Lega dovette ammettere nel 1993 di aver incassato 200 milioni di lire dalla Ferruzzi , causando a Umberto Bossi una condanna per finanziamento illecito.

Poi a foraggiare il Carroccio arrivò il banchiere della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, che nel 2004 non solo salvò la banchetta della Lega, Credieuronord, da un fallimento clamoroso, ma finanziò generosamente il partito di Bossi con oltre 10 milioni di euro, tra fidi e finanziamenti. Con anche più d'una mazzetta, secondo quanto racconta Fiorani: una parte dei soldi consegnati dal banchiere di Lodi ad Aldo Brancher, parlamentare di Forza Italia e poi del Pdl, erano per Roberto Calderoli.

"Ho consegnato a Brancher una busta con 200 mila euro... Quella sera Brancher doveva tenere un comizio a Lodi per le elezioni amministrative... Mi disse che doveva dividerla con Calderoli (poi archiviato, ndr) perché il ministro aveva bisogno di soldi per la sua attività politica". Non ha fatto una gran bella figura neppure Roberto Castelli, che da ministro della Giustizia, tra il 2001 e il 2006, è riuscito a meritarsi un'indagine per abuso d'ufficio per il suo piano di edilizia carceraria, affidato all'amico Giuseppe Magni; e una condanna della Corte dei Conti a rimborsare 33 mila euro, perché la consulenza era "irrazionale e illegittima".

Aldo Fumagalli, ex sindaco di Varese, è indagato (peculato e concussione) per un giro di false cooperative. Matteo Brigandì, ex assessore al Bilancio della Regione Piemonte, è stato processato per truffa, per falsi rimborsi alle zone alluvionate. Francesco Belsito, sottosegretario alla Semplificazione, esibisce una laurea fantasma, presa forse a Malta. Monica Rizzi, assessore allo Sport della Regione Lombardia, si proclama psicologa e psicoterapeuta senza avere la laurea e senza essere iscritta agli appositi ordini professionali, tanto che la procura di Milano sta indagando per abuso di titolo.

Cattive notizie anche dall'Emilia-Romagna , zona di più recente espansione del Carroccio. Il vicesindaco di Guastalla (Reggio Emilia), Marco Lusetti, a giugno è stato accusato di irregolarità nella gestione dell'Enci (Ente nazionale per la cinofilia) di cui era commissario ad acta: aveva ordinato bonifici a se stesso con soldi dell'ente per 187 mila euro (poi non incassati). Il padre padrone della Lega emiliana, il parlamentare Angelo Alessandri, si è invece fatto pagare dal partito le multe (per un totale di 3 mila euro) per eccesso di velocità o per transito in corsie riservate.

Il capogruppo del Carroccio alla Regione Emilia-Romagna, Mauro Manfredini, e altri candidati del suo partito (Mirka Cocconcelli, Marco Mambelli) rischiano invece una maximulta (fino a 103 mila euro a tasta) per non aver consegnato, come prevede la legge, un resoconto preciso delle spese elettorali. D ov 'è finito il partito che inveiva contro Roma ladrona?


2- "TENGO FAMIGLIA". LA PARENTOPOLI È PADANA

Paola Zanca per "Il Fatto Quotidiano" (Hanno collaborato Stefano Caselli, Ferruccio Sansa, Ivana Gherbaz, Erminia della Frattina)

Lo dice un vecchio detto, il pesce puzza dalla testa. Dunque nessuno si stupisca se la Lega, il partito che doveva marciare su Roma per distruggere la Casta e i privilegi, si è trasformato nella più classica delle macchine piazza-parenti. Bastava dare un'occhiata a quello che ha combinato lui, l'Umberto, per capire come sarebbe andata a finire. Suo fratello Franco lo piazzò a Bruxelles a fare da assistente all'eurodeputato leghista Matteo Salvini. Ci provò anche con il primogenito Riccardo, ma tornò a casa appena il fattaccio finì sui giornali: "È assurdo che mi venga vietata ogni esperienza solo perché ho un cognome importante", si rammaricò.

Erano ancora lontani i tempi di Renzo, il figlio prediletto: oggi comunque anche la Trota è sistemata, seduto sugli scranni del consiglio regionale lombardo. Restano senza incarichi gli altri due eredi, Eridano Sirio e Roberto Libertà. Ma c'è tempo. Forse potranno trovare un posto alla Bosina, la scuola privata, di ispirazione chiaramente padana, fondata da mamma Manuela Marrone, che ha ricevuto un contributo di 800mila euro dal governo nazionale. Ecco, con una testa così, da quel pesce non potevamo che aspettarci di peggio.

E basta mettere insieme le notizie che arrivano dal profondo Nord per disegnare una mappa della Parentopoli leghista. Che non dovrebbe lasciare indifferenti gli elettori del Carroccio. Cominciamo dal Piemonte, dove Lo Spiffero, il Dagospia di Torino, ha raccontato la "Famigliopoli subalpina": una clamorosa infornata di mogli, cugini e cognati che Roberto Cota ha portato a segno da quando è diventato presidente.

Nella sua segreteria c'è Michela Carossa, figlia di Mario, capogruppo della Lega in Regione. Capo di gabinetto del governatore è Giuseppe Cortese, che ha trovato lavoro pure alla moglie, Isabella Arnoldi, diventata portavoce dell'assessore leghista Massimo Giordano, fedelissimo di Cota. Per loro, può darsi che la pacchia finisca al massimo tra cinque anni.

C'è invece chi, grazie alla Lega, si è costruito un futuro garantito. È il caso delle cinque vincitrici di un concorso per funzionari della Provincia di Brescia, come racconta Il Riformista. Ci hanno provato in 700 a conquistarsi il posto fisso, ci sono riusciti in 8, e per più della metà c'è puzza di raccomandato.

Ha vinto Sara Grumi, figlia di Guido, assessore leghista al Comune di Gavardo e candidato alle ultime regionali. C'è Katia Peli, nipote dell'assessore provinciale all'Istruzione, leghista pure lui, Aristide Peli. Lavoro assicurato anche per Silvia Raineri, capogruppo della Lega nel consiglio comunale di Concesio e moglie del vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi. Vittoria anche per Cristina Vitali e Anna Ponzoni: tutte e due lavorano già in Provincia, guarda caso entrambe per l'assessorato guidato dal leghista Giorgio Bontempi.

Sempre in Lombardia, questa volta a Varese , nel 2002 diventa presidente della Provincia Marco Reguzzoni, marito di Elena, figlia di Francesco Speroni, storico capo di gabinetto del Senatur quando era ministro delle Riforme. Niente paura, Reguzzoni non ha dovuto pagare il peso delle polemiche. Oggi è il capogruppo della Lega nientemeno che alla Camera dei Deputati. Restiamo sempre nel letto matrimoniale ma ci spostiamo più a est, a Verona, dove alla moglie del sindaco Flavio Tosi l'elezione del marito ha messo in tasca 45 mila euro all'anno in più.

Stefania Villanova lavorava già in Regione, ma è diventata tutt'a un tratto dirigente e messa a capo della segreteria dell'assessorato regionale alla Sanità. In Friuli, i leghisti le moglie se le sono incrociate. L'ex presidente del consiglio regionale Ballaman assunse Laura Pace, moglie dell'allora sottosegretario agli Interni Maurizio Balocchi. Lui si prese in carico Tiziana Vivian, ex fidanzata dello stesso Ballaman. Poi c'è il capitolo consulenti. A Padova , l'ex segretario provinciale della Lega Maurizio Conte - oggi diventato assessore nella giunta Zaia - affidò l'incarico per progettare e dirigere i lavori di un nuovo polo scolastico a suo fratello Tiziano. Con regolare bando di concorso, giura lui.

E se non puoi sceglierli in famiglia, c'è comunque un partito che ti assiste. Racconta il Pd Piero Ruzzante al Corriere del Veneto, di altre "designazioni" ai vertici di tre enti regionali: "Corrado Callegari in Veneto Agricoltura, impiegato di banca mestrino stipendiato con 15mila euro al mese; Antonello Contiero in Intermizoo, autista di autobus di Rovigo, premiato con 5mila euro mensili e inserito nel listino di Zaia; e Fausto Luciani in Avepa, ristoratore allo zoo-safari di Bussolengo e retribuito con ben 154mila euro annui".

Chiusura in bellezza a Bergamo. Nell'estate del 2009, racconta Bergamo News, l'architetto Silvia Lanzani, è stata incaricata, per 13.754 euro, di curare il progetto preliminare della nuova centrale di sterilizzazione dell'ospedale di Treviglio, diretto dal leghista Cesare Ercole. Silvia Lanzani è della Lega e fa l'assessore alle Infrastrutture in Provincia. Come si dice, una che lavora con la testa, con il cuore, e con il portafoglio.


3- REGALO DI STATO ALLA "SCIURA" BOSSI - PER LA SCUOLA DELLA MOGLIE DEL SENATUR CONTI IN ROSSO FINO AL 2008, POI DA ROMA SONO ARRIVATI I "VERDONI"

Vittorio Malagutti per "il Fatto Quotidiano"

La scuola della Lega? Un successone. "Quest'anno abbiamo superato i 300 alunni iscritti. Un record". È contento, contentissimo Dario Specchiarelli, presidente della cooperativa che gestisce asilo, elementari e medie nate e cresciute nel segno del "Sole delle Alpi". Solo che qui, nella scuola leghista di Varese, quella doc, quella benedetta da Umberto Bossi e diretta da sua moglie, la maestra Manuela Marrone, non c'è proprio traccia di simboli di partito. Adro? "Fatti loro", si scalda Specchiarelli.

Di certo il business viaggia alla grande. Nel 2009 la scuola ha festeggiato il primo bilancio in utile. Poca cosa, duemila euro e spiccioli. Ma nel 2008 i conti erano in rosso di quasi 500 mila euro su un milione di ricavi. Stessa musica nel 2007 e nel 2006: bruciati in perdite più della metà degli incassi. Di questo passo la scuola sarebbe stata costretta a chiudere i battenti, a meno di trovare ogni anno nuovi generosi sostenitori.

Niente paura, i soldi alla fine sono arrivati, come hanno raccontato i giornali già nel luglio scorso. Soldi pubblici: 800 mila euro stanziati dal Parlamento con la famigerata legge mancia, ovvero la distribuzione di finanziamenti a pioggia a favore delle più disparate iniziative sponsorizzate da deputati e senatori. Attenzione però, il denaro destinato alla scuola leghista è diventato di fatto un regalo alla signora Bossi con i suoi due sodali.

E cioè l'ex senatore (ovviamente leghista) Dario Galli, da due anni presidente della provincia di Varese nonché consigliere dell'azienda pubblica Finmeccanica, e il già citato Specchiarelli. Sono loro, infatti, assieme all'Associazione Bosina e all'omonima Associazione Bosina onlus, gli unici iscritti a libro soci della cooperativa "Scuola Bosina", che gestisce l'istituto varesino.

Negli anni scorsi questi volonterosi cooperatori hanno fatto fronte alle perdite di tasca loro. Tra il 2006 e il 2009, la coop ha perso la bellezza di un milione e 320 mila euro su due milioni e 360 mila euro di incassi. La signora Bossi, intestataria di 200 quote su un totale di mille che costituiscono il capitale sociale, è stata chiamata a fare la sua parte sborsando oltre 250 mila euro in quattro anni.

Stesso discorso per Galli e Specchiarelli, pure loro proprietari di 200 quote ciascuno. Insomma, un pessimo affare. Almeno fino a quando non si è aperto il paracadute di Stato. Da Roma ladrona sono arrivati 800 mila euro che hanno salvato il conto in banca degli educatori con la camicia verde. Il contributo è spalmato su due anni (300 mila retrodatati al 2009 e il resto per il 2010) ed è passato in Parlamento sotto la voce "ampliamento e ristrutturazione". Dei lavori per il momento non c'è traccia all'esterno del palazzo che ospita la scuola. Ma i soci padani, questo è sicuro, non dovranno aprire il portafoglio.

domenica 28 febbraio 2010

La Cultura S.p.A.

L'INCHIESTA. Gestisce 200 milioni distribuiti a discrezione, senza controlli
All'università gregoriana un milione e mezzo di euro per il restauro dei cortili interni

Arcus, la società per la cultura
che regala le "mance" di Stato

di CARMELO LOPAPA

ROMA - L´ultimo pacco siglato «Cultura spa» porta in dote 200 milioni di euro. L´infornata è di questi giorni e permetterà al governo una distribuzione a pioggia in favore di centinaia di associazioni, enti, teatri e fondazioni. Più che di privatizzazione della cultura, l´operazione sa tanto di mancia di Stato, giusto a un mese dal voto, per amici, boiardi e parenti importanti. Succede così dal 2004. I tre ministeri di riferimento stanziano (Beni culturali, Economia e Infrastrutture) e i beneficiari graditi incassano. È un affare gestito da pochi, con fondi pubblici e scavalcando il controllo parlamentare.

La «Cultura spa» di impronta berlusconiana - assieme ad Ales - ha il volto di Arcus, più che un volto il vero braccio operativo, il braccio lungo della spartizione. «Società per lo sviluppo dell´arte» fondata nel 2004 (sotto il precedente governo del Cavaliere) a capitale interamente sottoscritto dal ministero dell´Economia. I suoi decreti operativi vengono adottati dal ministero per i Beni culturali di Sandro Bondi, di concerto con le Infrastrutture di Altero Matteoli. Una spa a tutti gli effetti - col suo cda di sette componenti per dieci dipendenti - che, come ha avuto modo di denunciare in ripetute occasioni la Corte dei conti, si è «trasformata in un una agenzia ministeriale per il finanziamento di interventi», spesso «non ispirati a principi di imparzialità e trasparenza». La storia torna a ripetersi. Nel silenzio generale, la spa Arcus ha adottato a febbraio il piano triennale di interventi: 119 milioni per quest´anno, 43 per il prossimo, 37 e mezzo per il 2012. Totale: 200 milioni, parcellizzati in 208 interventi.


La logica appare discrezionale, se non emergenziale, in stile Protezione civile. Nel calderone, dietro il Lazio con 23 milioni di euro nel 2010, la parte del leone la fa la Toscana dei ministri Bondi e Matteoli: 21,4 milioni, rispetto per esempio agli 8,5 della Sicilia o ai 12,5 della Campania, pur ricche entrambe di siti, chiese, monumenti. Ma quali sono gli interventi strategici sui quali il ministero punterà per i prossimi tre anni? Nel capitolo «varie», intanto, 500 mila euro vengono destinati alla «partecipazione dell´Italia all´Expo di Shangai 2010».

A guidare la missione sarà Mario Resca, consigliere d´amministrazione della Mondadori, berlusconiano doc, direttore generale del dipartimento per la «valorizzazione del patrimonio culturale» al ministero. Solo coincidenze, ovvio. Come lo è il fatto che, in Veneto, Arcus finanzia con due capitoli per un totale di 600 mila euro il dipartimento di Archeologia dell´Università di Padova. Direttore è la professoressa ordinaria di Archeologia Elena Francesca Ghedini, sorella del più illustre deputato, avvocato e consigliere del premier, Niccolò. Altissime le sue referenze nel mondo culturale: dal 2008 il ministro Bondi l´ha voluta al suo fianco quale «consigliere per le aree archeologiche» e dal marzo 2009 quale membro del «Consiglio superiore per i beni culturali».

Ma di bizzarrie nelle 18 tabelle del piano se ne scovano tante. Ad Amelia, in Umbria, l´Associazione culturale società teatrale riceverà 800 mila euro, la Fondazione teatro dell´Archivolto in Liguria 450 mila euro e via elargendo.
Generoso il finanziamento di decine di interventi su immobili ecclesiastici, anche del patrimonio vaticano, dunque extraterritoriali. È il caso del «restauro dei cortili interni della Pontificia università gregoriana» a Roma: 1 milione di euro nel 2010 e 500 mila nel 2011, sebbene lo Stato abbia già finanziato lo stesso restauro con 457.444 euro tratti dai fondi dell´8 per mille, lo scorso anno, e con 442.500 euro, nel 2007. Ma, anche qui, la lista di monasteri, campanili e basiliche beneficiati è sconfinata. Dal pozzo dei miracoli di Arcus il governo attinge per aiutare pure le amministrazioni comunali «amiche» in crisi finanziaria: 1 milione alla cultura del Comune di Roma di Gianni Alemanno, 1,5 milioni per la rassegna estiva «Kals´art» del Comune di Palermo (Diego Cammarata).

La spa del ministero tra il 2004 e il 2009 aveva già spalmato, su 300 interventi, finanziamenti pubblici per altri 250 milioni di euro. La storia non cambia. E dire che il ministro Bondi, presentando in Parlamento il suo programma, il 26 giugno 2008, annunciava l´intenzione di «restituire alla società Arcus la sua mission originaria, evitando interventi a pioggia» e promettendo di «privilegiare d´ora in poi interventi di notevole spessore».

Dalla fondazione del 2004, a gestire la spa è il direttore generale Ettore Pietrabissa, già vice all´Iri e poi all´Abi. Presidente è un vecchio andreottiano, Salvatore Italia, classe ?40, alla guida del cda composto da altri sei consiglieri. Vertice di tutto rispetto per una spa che vanta però solo 4 dipendenti distaccati dal ministero e 6 contratti a termine. Sebbene la sede legale sia in via del Collegio romano 27, nei locali del ministero, quella «operativa» si trova in via Barberini 86, in un elegante ufficio da 350 metri quadrati nel pieno centro di Roma, affittato per circa 16 mila euro al mese, 175 mila euro l´anno. Nel 2010, stipendi, sede, gettoni e quant´altro necessita al funzionamento di Arcus costeranno 2 milioni di euro.

«La spa è solo a uso e consumo dei gabinetti dei ministeri», racconta Gianfranco Cerasoli, responsabile cultura della Uil. «Un carrozzone da smantellare, che continua a finanziare beni extraterritoriali della Chiesa: le sue risorse potrebbero essere gestite dal ministero, tagliando spese che gravano inutilmente sui contribuenti». Resta il nodo dei controlli. «Arcus ha di positivo l´immediata operatività, finanzia anche opere importanti - spiega Fabio Granata, componente Pdl della commissione Cultura della Camera - tuttavia in due anni di legislatura mai un atto della spa è transitato in Parlamento».

Fonte: LaRepubbica.it

venerdì 27 novembre 2009

Ciampi a Repubblica

«VIVIAMO un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell' azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». La prima cosa che colpisce, nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi, è l' amarezza. Un' amarezza profonda, sul destino dell' Italia e sulle condizioni della nostra democrazia. E MAI come in questa occasione l' ex capo dello Stato, da vero «padre nobile» della Repubblica, lancia il suo atto d' accusa contro chi è responsabile di questo «imbarbarimento» e di questa «aggressione»: Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a «colpi di piccone» i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè «la nostra Bibbia civile». «Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile». Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L' intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un' opera di progressiva «destrutturazione». «Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell' edificio democratico, cioè le istituzioni,e si umilianoi valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...». Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo «paesaggio in decomposizione». «Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d' anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l' uomo che difende le istituzioni, e dall' altra parte Berlusconi, l' uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...». L' ultimo capitolo di questa nefasta «riscrittura» della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfanoe ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell' intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: «Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L' ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare». Fa di più, l' ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: «Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi:è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all' opinione pubblica». Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: «Credo che per chi haa cuore le istituzioni, oggi, l' unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti». Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell' ordinamento giudiziario di Castelli: «È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C' è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell' informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse,e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza». Ma in tanto buio, secondo Ciampi c' è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l' appello lanciato su "Repubblica" da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull' abbreviazione dei processi, la «norma del privilegio». «Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all' ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c' è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c' è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare».

m.giannini@repubblica.it PRESIDENTE EMERITO Carlo Azeglio Ciampi è stato presidente della Repubblica dal 1999 al 2006 Oggi è senatore a vita - MASSIMO GIANNINI

Ciampi a Repubblica

«VIVIAMO un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell' azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». La prima cosa che colpisce, nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi, è l' amarezza. Un' amarezza profonda, sul destino dell' Italia e sulle condizioni della nostra democrazia. E MAI come in questa occasione l' ex capo dello Stato, da vero «padre nobile» della Repubblica, lancia il suo atto d' accusa contro chi è responsabile di questo «imbarbarimento» e di questa «aggressione»: Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a «colpi di piccone» i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè «la nostra Bibbia civile». «Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile». Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L' intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un' opera di progressiva «destrutturazione». «Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell' edificio democratico, cioè le istituzioni,e si umilianoi valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...». Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo «paesaggio in decomposizione». «Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d' anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l' uomo che difende le istituzioni, e dall' altra parte Berlusconi, l' uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...». L' ultimo capitolo di questa nefasta «riscrittura» della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfanoe ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell' intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: «Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L' ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare». Fa di più, l' ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: «Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi:è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all' opinione pubblica». Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: «Credo che per chi haa cuore le istituzioni, oggi, l' unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti». Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell' ordinamento giudiziario di Castelli: «È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C' è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell' informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse,e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza». Ma in tanto buio, secondo Ciampi c' è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l' appello lanciato su "Repubblica" da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull' abbreviazione dei processi, la «norma del privilegio». «Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all' ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c' è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c' è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare». m.giannini@repubblica.it PRESIDENTE EMERITO Carlo Azeglio Ciampi è stato presidente della Repubblica dal 1999 al 2006 Oggi è senatore a vita - MASSIMO GIANNINI

mercoledì 11 novembre 2009

Le motivazioni della sentenza

La corruzione è "susseguente" e non "antecedente"alle testimonianze
ritenute false e reticenti, che rese nell'intento di favorire Berlusconi

Mills, le motivazioni della condanna in appello
"Corruzione dopo la testimonianza pro-premier"

MILANO - David Mills è stato condannato dai giudici della seconda sezione penale della Corte d'Appello di Milano per corruzione in atti giudiziari "susseguente" e non "antecedente" alle testimonianze, ritenute false e reticenti, che rese nell'intento di favorire Silvio Berlusconi. Lo spiegano le motivazioni della sentenza depositata oggi dal relatore Rosario Spina. Nelle quali si parla di una confessione "genuina e sincera" (antecedente alle successive ritrattazioni) del legale inglese.

"L'accordo concluso a fine 1999". Secondo i consiglieri della Corte d'appello di Milano l'accordo illecito tra Mills e un emissario di Berlusconi si è concluso alla fine del 1999: dunque, non prima (come era stato ritenuto con la condanna di primo grado), ma dopo le testimonianze rese da Mills nei processi All Iberian e Arces.

Gli elementi certi. Gli elementi certi sono "un compenso di 600mila dollari e la promessa di tale compenso nell'autunno 1999. Elementi che - si legge nella sentenza - si collocano temporalmente in epoca successiva rispetto alle deposizioni testimoniali di Mills, e da essi non si può pertanto prescindere per valutare la qualificazione del tipo di corruzione".

La "promessa di Carlo Bernasconi". Nella sentenza si parla di una "promessa di Carlo Bernasconi (amico di Mills e figura manageriale del gruppo Fininvest, ndr) che sicuramente è avvenuta nell'autunno 1999 e di un compenso che è disponibile successivamente a tale data". Il momento in cui si consuma il reato è il 29 febbraio 2000, "data in cui Mills si fa intestare le quote del Torrey Global Fund".

Le date. Il 29 febbraio del 2000 è quindi la data in cui la promessa fatta a Mills nel 1999 si realizza. "A ben vedere la data può non essere un caso - scrive il giudice Spina - la data del 29 febbraio 2000 è immediatamente successiva al momento in cui si è celebrata la fase di appello del processo, in cui Mills è stato assunto come teste, e proprio successivamente a tale celebrazione, quando la Corte ha deciso di non rinnovare il dibattimento, si ha la certezza che lo stesso non dovrà essere piùsentito come teste, e quindi la vicenda si può considerare conclusa".

La testimonianza poi ritrattata. "Non credo che
occorrano molte parole - disse Mills nel 2004 ai magistrati - io sono stato sentito più volte in indagini e processi che riguardavano Silvio Berlusconi e il Gruppo Fininvest e pur non avendo mai detto il falso, ho tentato di proteggerlo nella massima misura possibile e di mantenere laddove possibile una certa riservatezza sulle operazioni che ho compiuto per lui. In questo quadro che nell'autunno del 1999, Carlo Bernasconi mi disse che Berlusconi a titolo di riconoscenza per il modo in cui io ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro".

Ritrattazione non credibile. Per i giudici d'Appello la ritrattazione fatta dall'avvocato inglese (in cui dichiarava che "per ragioni che io ancora oggi faccio fatica a comprendere, ho detto che i soldi non erano di Fininvest ma dell'armatore napoletano Attanasio") non è dunque credibile. I consiglieri d'Appello non hanno accolto neanche la tesi della difesa secondo cui Mills non potrebbe essere condannato, perché la sua testimonianza non avrebbe prodotto alcun vantaggio a Berlusconi. "E' necessario - conclude la sentenza - che la condotta sia stata semplicemente finalizzata a produrre un vantaggio indipendentemente dal fatto che questo si sia prodotto. Il fatto che Berlusconi non sia stato assolto non ha rilievo. Mills stesso ha ammesso apertis verbis di avere comunque evitato a Berlusconi un mare di guai con la sua deposizione".

Fonte: Repubblica.it


martedì 25 agosto 2009

venerdì 21 agosto 2009

Chi non vuole vedere e chi muore

Sono arrivati in cinque. Erano ische-­letriti, cotti dal sole che martella, in agosto, sul canale di Sicilia. Ma il bar­cone, era grande: ce ne stipano ottanta, i trafficanti in Libia, di migranti, su bar­che così. Affastellati uno sull’altro co­me bidoni, schiena a schiena, gli ultimi seduti sui bordi, i piedi che penzolano sull’acqua. E dunque quel barcone vuo­to, con cinque naufraghi appena, è sta­to il segno della tragedia. Laggiù a 12 miglia da Lampedusa, ai margini estre­mi dell’Europa, un relitto di fantasmi. Cinque vivi e forse più di settanta mor­ti, in venti giorni di peregrinazione cie­ca nel Mediterraneo.

Decine e decine di eritrei inabissati come una povera za­vorra di ossa in fondo a quello stesso mare in cui a Ferragosto incrociano na­vi da crociera, traghetti, e gli yacht dei ricchi. È questo il dato che raggela an­cor più. Perché in venti giorni, nelle acque della Libia e di Malta, e in mare aperto, qualcuno avrà pure incrociato, o almeno intravisto da lontano quel barcone; ma lo ha lasciato andare al suo destino. Solo da un peschereccio, hanno detto i superstiti, ci hanno da­to da bere. Come dentro a una spieta­ta routine: eccone degli altri. E non ci si avvicina. Non si devia dalla rotta tracciata, per un pugno di miserabili in alto mare. Noi non sappiamo immaginare davve­ro. Come sia immenso il mare visto da un guscio alla deriva; come sia spaven­toso e nero, la notte, senza una luce.

Co­me picchi il sole come un fabbro sulle teste; come devasti la sete, come scar­nifichino la pelle le ustioni. Noi del mon­do giusto, che su quelle stesse acque d’a­gosto ci abbronziamo, non sappiamo quale spaventevole nemico siano le on­de, quando il motore è fermo, e l’oriz­zonte una linea vuota e infinita. Non possiamo sapere cosa sia assistere all’a­gonia degli altri, impotenti, e gettarli in acqua appena dopo l’ultimo respiro. 'Altri' che sono magari tuo marito o tuo figlio. Ma bisogna liberarsene, senza tempo per piangere. Perché quel sole tormenta e disfa anche i morti; e i vivi, vogliono vivere. Noi non sappiamo com’è il Mediterra­neo visto da un manipolo di poveri cri­sti eritrei, fuggiti dalla guerra, sfruttati dai trafficanti, messi in mare con un po’ di carburante e vaghe indicazioni di u­na rotta.

Ma c’è almeno un equivoco in cui non è ammissibile cadere. Nessuna politica di controllo della immigrazio­ne consente a una comunità interna­zionale di lasciare una barca carica di naufraghi al suo destino. Esiste una leg­ge del mare, e ben più antica di quella pure codificata dai trattati. E questa leg­ge ordina: in mare si soccorre. Poi, a ter­ra, opereranno altre leggi: diritto d’asi­lo, accoglienza, respingimento. Poi. Ma le vite, si salvano. E invece quel barcone vuoto – non il pri­mo arrivato come un relitto di morte al­la soglia delle nostre acque – dice del farsi avanti, tra le coste africane e Mal­ta, di un’altra legge. Non fermarsi, tirar dritto. (Pensate su quella barca, se avvi­stavano una nave, che sbracciamenti, che speranza. E che piombo nel cuore, nel vederla allontanarsi all’orizzonte).

La nuova legge del non vedere. Come in un’abitudine, in un’assuefazione. Quan­do, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo, ci chiedia­mo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida, nelle stazioni di transito nessuno li vedeva e sentiva? Allora erano il tota­litarismo e il terrore, a far chiudere gli oc­chi. Oggi no. Una quieta, rassegnata in­differenza, se non anche una infastidi­ta avversione, sul Mediterraneo. L’Oc­cidente a occhi chiusi. Cinque naufra­ghi sono arrivati a dirci di figli e mariti morti di sete dopo giorni di agonia. Nel­lo stesso mare delle nostre vacanze. U­na tomba in fondo al nostro lieto mare. E una legge antica violata, che minac­cia le stesse nostre radici. Le fonda­menta. L’ idea di cos’è un uomo, e di quanto infinitamente vale.
Marina Corradi
http://www.avvenire.it/Commenti/CHI+NON+VUOLE+VEDERE+E+CHI+MUORE_200908210722579570000.htm