domenica 2 novembre 2008

TAGLI AL FUTURO

Ciao a tutti! Volevo inserire qui i frutti di una rapida ricerca sul sito dell'Eurostat, per avere un'idea, per quanto superficiale, di come vada la ricerca in Italia rispetto al resto dell'Europa ed analizzare, alla luce di questi dati, le conseguenze della legge 133 06/08/2008.
















Questo grafico dimostra come esista una correlazione lineare tra la percentuale del PIL investita
in ricerca ed il PIL pro-capite di alcuni stati europei e degli Stati Uniti
.
CONCLUSIONE: almeno empiricamente, la ricerca ha un'influenza rilvante sul benessere del singolo.

La linea grossa nel secondo grafico indica la media della zona euro (15 paesi) = 1,86





Tutti i dati contenuti nei grafici da me realizzati si riferiscono al 2005.

La ricerca in Italia, in una curiosa unità tra popolo e Governi ("ogni popolo ha il governo che si merita"), è percepita come il settore da tagliare in tempi di vacche magre, come un surplus non necessario, che "se c'è bene, se non non importa": basti pensare che il massimo di finanziamenti concessi a questo moribondo settore è stato dell'1,13% del PIL nel 2002. Molti studi, come anche il banale grafico soprastante, correlano gli investimenti in ricerca e sviluppo con la ricchezza di uno Stato. Non è un caso se i Paesi più industrializzati del Mondo sono quelli che investono maggiormente in ricerca e sviluppo. La situazione italiana appara ancora più critica se considerata alla luce degli obiettivi della famosa "strategia di Lisbona" (investimento totale, pubblico e privato, in ricerca e sviluppo del 3% entro il 2010) e di alcune analisi che mostrano come la ricerca italiana sia la migliore al mondo in termini di rapporto costi/benefici: a parità di risorse sarebbe quella che potrebbe dare i risultati migliori, nel mondo. Ecco un grafico che parla da solo:




Fonte: The Scientific Impact of Nations, Nature 430, 311-316 (15 July 2004)

Pur occupando l'ultimo posto nel G8 per percentuale del PIL investita in R&D (research and development), la qualità della ricerca italiana (quantificabile come numero di pubblicazioni per ricercatore e numero di citazioni per ricercatore, entrambi sulle principali riviste scientifiche internazionali) occupa invece l'ultimo gradino del podio.

Questo per sottolineare come i tagli al FFO (Fondo di finanziamento ordinario) stabiliti dalla 133 all'articolo 66 ("l'autorizzazione legislativa [...] concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, è ridotta di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013", insomma un totale di 1.449.000.000 tra il 2009 ed il 2013
), peraltro comminati indistintamente a tutte le università italiane, tanto a quelle economicamente virtuose, come l'Università di Padova e altri 12 atenei della penisola, quanto a quelle che hanno condotto in passato una gestione indisciplinata delle proprie finanze, vadano esattamente nella direzione contraria a quanto facciano i governi delle altre principali nazioni europee (come la Francia, tanto per portare un esempio non strumentalizzabile) e a quanto avrebbe bisogno il nostro Paese: i tagli non devono essere una conseguenza della crisi della finanza mondiale, ma, anzi, devono essere considerati una soluzione per contrastarne gli effetti. Ed altro non si trova che tagli in questa manovra finanziaria, dal momento che la possibilità di trasformazione delle università in fondazioni private (articolo 16) e la riduzione del turn over (le università potranno, infatti, "procedere, per ciascun anno, [...] ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20% di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente", articolo 66 comma 7) altro non sono che le conseguenze necessarie di questa politica di tagli, purtroppo però non prive di gravi conseguenze per la qualità didattica e della ricerca, per i servizi agli studenti (aule, laboratori, biblioteche), per il diritto allo studio e, in ultima analisi, per il futuro del Paese. La facoltà di trasformazione in fondazioni delle università appare più come una necessità, proprio in virtù dei tagli sopraddetti, e metterà la ricerca a totale servizio di soggetti privati, come aziende ed industrie: questo farà sì che non solo la ricerca di base, quella non direttamente collegata a logiche di produttività e profitto, sarà penalizzata, ma i soggetti privati stimoleranno inevitabilmente la ricerca nel settore economico di loro interesse, con la compromissione dell'attività di interi settori di ricerca. Inoltre, il rischio di un aumento delle tasse universitarie appare molto forte, non solo perchè alle università che potranno beneficiare del maggior numero di finaziamenti privati saranno decurtati i finanziamenti pubblici (tutto questo è contenuto nelle paroline "a fini perequativi", articolo 16 comma 9), ma basta informarsi sulle rette delle principali università private del mondo per rendersene conto. Questo non permetterà più ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" di cui parla l'articolo 34 della Costituzione, di "raggiungere i più alti gradi degli studi".

I contenuti per protestare contro la 133 ci sono tutti, ma, mai come in questo caso, il rischio di strumentalizzazioni è forte: la mistificazione della realtà, a cui alcuni mezzi di informazione ("mezzi di distrazione di massa", per dirla con la Guzzanti) ci hanno abituato, rappresenta uno dei motivi per cui la vera natura di questa protesta non viene ancora colta dall'opinione pubblica: chi manifesta appare, spesso perchè descritto così, come un fannullone che non abbia voglia di studiare e approfitti della protesta per sottrarre tempo agli studi. La realtà è, invece, esattamente il contrario: pur essendoci una fetta di studenti che forse non ha molto presente perchè manifesta, a causa di una certa carenza di informazione (il che non significa, comunque, che non sia giusto manifestare), chi protesta lo fa esattamente per difendere il suo diritto a studiare in un'Università libera e d'eccellenza, per tutelare il diritto all'istruzione e per evitare che essa diventi un privilegio, anche per le prossime generazioni di studenti. L'esistenza di frange di manifestanti il cui unico scopo è quello di cercare lo scontro, con la polizia o, magari, come a Piazza Navona, con altre persone che manifestano d'accordo con loro, non può e non deve inquinare la purezza della protesta di migliaia di persone, dallo studente al docente, dal ricercatore al rettore, che vedono in questa legge un furto di futuro. Siamo tutti perfettamente consapevoli della necessità di una profonda modifica del sistema universitario italiano, indirizzata principalmente ad una gestione più oculata della spesa (perchè solo 13 atenei virtuosi su un'ottantina di atenei presenti in Italia?), su una più razionale distribuzione nazionale degli atenei e quindi delle risorse, su una assegnazione più meritocratica dei posti (non basata solo sugli anni di anzianità, ma anche sui risultati del lavoro, es.: numero di pubblicazioni), sulla riduzione di molti stipendi stellari, ecc. Tra l'altro, il tetto del 90% del FFO destinato alle spese fisse per il personale di ruolo è altissimo e anche l'Università di Padova si è recentemente dichiarata favorevole ad abbassarlo. Eppure alcune università hanno sforato perfino un tetto del genere e verranno trattate allo stesso modo di quella di Padova (qui i conti dell'Università di Padova). Come appare evidente, c'è molto spazio per migliorare, ma attraverso riforme che andrebbero estese al sistema Paese, non solo alle università, quindi mi sembra estremamente avvilente ed offensivo che una manifestazione di dissenso trasversale, come quella a cui abbiamo assistito in queste settimane, sia umiliata dalla strumentalizzazione di chi insinua che il suo scopo sia quello di difendere chissà quali interessi o staus quo: esisterà anche, lo ripeto, una certa percentuale di studenti che non conosce minimamente il motivo per cui sta manifestando e forse anche una parte di docenti che intende difendere i propri interessi consolidandoli nella difesa della propria "torre d'avorio", ma si tratta sicuramente di una minoranza infinitesima rispetto a tutti quelli che, studenti o docenti, ricercatori o rettori, si preoccupano sinceramente del proprio futuro, di quello dei propri figli e dei frutti del proprio lavoro di anni. E, per confutare quelli che ritengono che l'arroccamento del mondo universitario sui propri privilegi giustifichi i tagli della 133, va detto che tagli del genere non costituiscono una riforma organica e radicale del sistema universitario, peraltro, appunto, necessaria, ma una politica infantile e superficiale di tagli; nulla si trova, nella 133, che tenti di riformare radicalmente il sistema universitario italiano, come intendono farci credere. Parlare poi di tagli "necessari" suscita perlomeno un sorriso: ci siamo accollati tutti i debiti di Alitalia, foraggiamo le banche con la scusa di salvare il credito (peraltro, evitare il fallimento delle banche mi pare necessario), buttiamo soldi dalla finestra (non solo qualche milione di euro, vedi "la Casta"), abbiamo enti dichiarati inutili tutt'ora stipendiati (addirittura l'ente predisposto a chiudere gli enti inutili è ancora finanziato, nonostante non faccia il suo lavoro, cfr. Report), negli ultimi anni c'è stato il boom delle provincie, manca la legge per recuperare i soldi sequestrati dalla magistratura... Quindi non mi pare proprio che i tagli alla scuola, la sola che può compiere "il miracolo" di "trasformare i sudditi in cittadini" (Piero Calamandrei) siano necessari. Difficile poi non notare la schizofrenia di certi uomini di Governo, che, per difendere la legge, sostengono che una riforma che ammoderni l'università sia necessaria e quindi è sbagliato protestare, salvo poi smentirsi (va di moda ultimamente) dicendo che non ha senso protestare perchè non si tratta di una vera riforma. Fosse vero che si tratta di provvedimenti per razionalizzare l'università, a quest'ora avrebbero terminato un sistema di valutazione, avrebbero chiuso le università provinciali inutili e avrebbero ripartito i fondi secondo meritocrazia. Così si eliminano gli sprechi, non tagliando a caso.
Ma, dal momento che non va bene criticare un provvedimento (pars destruens) senza proporne una soluzione migliore (pars construens), linko qui le "Misure per il risanamento finanziario e l’incentivazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema universitario" ((http://www.cisaluniversita.org/download/Universita%20Misure%20per%20il%2...), opera della Commissione Muraro (che tra l'altro parlerà a Padova domani alle 17 in Piazza della Frutta), e anche il programma nazionale di riforma 2006-2008, il primo rapporto sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona (documento in fondo alla pagina).
Inutile dirlo...sono stati tagliati.

Nessun commento: