Non stiamo discutendo solo di approccio filosofico, dobbiamo fare i conti con il mondo reale e con quello che accade dentro gli ospedali. Possiamo anche fare dell’ipocrisia una virtù, ma dobbiamo comunque dire che nelle rianimazioni italiane le decisioni sulla fine della vita dei pazienti vengono prese in continuazione, ogni giorno, da medici che operano In scienza e coscienza ma che, nella maggior parte dei casi, non possono conoscere gli orientamenti dei pazienti rispetto alle terapie da accettare o meno nelle fasi finali della vita. Bastano i risultati di una ricerca condotta dall’istituto Mario Negri di Milano che dimostra come su circa .8oo decessi avvenuti in cento rianimazioni sparse in tutto il Paese, nel 82% dei casi i medici abbiano attuato la cosiddetta «desistenza terapeutica» nelle ultime 72 ore di vita del paziente. La decisione dunque avviene nella «zona grigia» di Panebianco, il che significa che il medico di guardia (non il medico di una vita, il padre, la madre, un figlio o un parente) decide in scienza e coscienza, ma anche in solitudine, di non avviare la dialisi, di non somministrare la nutrizione artificiale, di non intubare il paziente per collegarlo al respiratore automatico. I medici decidono anche di sospendere le terapie, compresa la nutrizione artificiale (nel 17,6% dei casi) o il respiratore automatico (nel 5% dei casi).
Di fronte alla concretezza della realtà, io sono convinto che una legge sia necessaria, che non sia degno di un Paese civile che le decisioni sulla fine della vita di una persona siano prese senza tenere conto delle indicazioni di quella persona e senza un dialogo aperto e sereno tra i medici e i familiari. Le indicazioni lasciate dal paziente sono di conforto al medico in molte circostanze. Il dialogo con la famiglia può servire anche banalmente per permettere a un figlio che abita lontano di viaggiare per poter vedere per l'ultima volta il proprio genitore. La realtà della vita è fatta anche di gesti semplici e umanamente comprensibili; per questo servono le regole e non l’ipocrisia. Capisco che il mio approccio possa essere influenzato da quasi vent’anni vissuti in una cultura anglosassone, ma su questo tema non voglio smettere di sperare che il mio Paese, per una volta, non accetti di fare «all’italiana», ovvero evitando o aggirando le regole. Voglio essere ottimista, e mi auguro che riusciremo a fare quel passo avanti necessario per lasciare da parte l’emotività e avvicinarci alla cultura delle società liberali, di cui parla Panebianco, in cui ogni persona abbia la possibilità di lasciare delle indicazioni su come essere curato nel momento più imperscrutabile della nostra esistenza, quello del passaggio dalla vita alla morte. E' chiedere troppo?"
http://www.ignaziomarino.it/Archivio/2/marino_corriere_fine_vita_26_feb.pdf
lunedì 2 marzo 2009
Testamento biologico: Caro direttore,
Etichette:
democratici,
giovani,
ignazio,
marino,
testamento biologico
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento